Peso

2023-02-15 16:02:25 By : Mr. John Chang

Non neghiamolo: saranno anche le meraviglie del Barocco ad attrarvi fin qui, ma non è solo l’architettura a rendere questa zona tra le più seducenti della Sicilia. Ecco un itinerario che connette Santa Croce Camerina a Modica e Ispica, Scicli a Ragusa, e vi mostrerà sì capolavori artistici patrimonio dell’umanità, ma anche angoli più remoti, siti sconosciuti, fino a lambire città che nemmeno esistono sulla mappa – ma sono vere metropoli nell’immaginario collettivo.

È un itinerario percorribile in ogni direzione e partendo da dove si preferisce: le distanze sono sempre brevi e tutte le strade, qui, portano al mare – passando per borghi annidati sui colli e strade ammantate del profumo di capperi e gelsomino. Un viaggio che parte da una Punta e vi fa scoprire un territorio che ha molte più storie da raccontare di quanto si racconti. Per brevità lo chiamiamo Terra Barocca.

La prima di queste storie è legata ad Andrea Camilleri: la serie televisiva tratta dai suoi romanzi, Il commissario Montalbano, è stata ampiamente girata a Punta Secca, una frazione di Santa Croce Camerina, il suo avamposto sul mare. Assieme alla vicina Punta Braccetto fu abitata già in epoca bizantina, grazie al suo ruolo strategico di vedetta sul mar Mediterraneo. Le tante torri di avvistamento sparse nella costa sono la testimonianza sgretolata di quegli anni di galeoni e pirati; oggi a Punta Secca l’atmosfera tra faro e porticciolo è molto rilassata: vecchie case di pescatori, la Torre Scalambri (che ospita un bel locale) e una spiaggia libera e mai troppo affollata. Ne approfittiamo per il primo bagno dell’anno. A Punta Secca i fan più attenti della serie tv riconosceranno la casa del protagonista Salvo Montalbano – è la villa che troneggia tra Corso Aldo Moro e Corso Giuseppe Verdi. Oggi ospita un agriturismo ‘d’autore’, con una terrazza che affaccia sul mare e su tanti flashback cinematografici. Vigata, la città fittizia imbastita per il set, è una sorta di ‘paese sparso’ in Terra Barocca: qui a Punta Secca c’è anche quella che nelle riprese era la sua piazza principale.

Da Punta Secca ci spostiamo verso nord di qualche chilometro. Ci aspetta il Castello di Donnafugata, che ci regala la prima delle tante sorprese del viaggio. Faccio fatica ad ascoltare i racconti su questa dimora nobiliare ottocentesca dalle belle merlature che sbuca come dal nulla; non dedico troppi sguardi al suo loggiato arabeggiante, ignoro le sue centoventidue stanze e tiro dritto verso il parco – una macchia verde di otto ettari che rimanda a uno degli aneddoti di Sheherazade –; ignoro persino l’enorme ficus, per tirare dritto fino al labirinto. È un divertissement costruito da baroni eclettici, fatto di pareti in muratura a secco, come le masserie fortificate che abbiamo visto lungo la strada. Sollevo le punte, non riesco a leggerne la forma, la sua totale simmetria mi annichilisce per definizione. Ne raggiungiamo il centro con un po’ di fortuna; uscire dal labirinto è decisamente più impegnativo e all’ennesimo tentativo invano mi rassegno a restare qui a vita, in smart working perpetuo da Donnafugata. Quando troviamo l’uscita è quasi buio, ma riusciamo a dedicarci al giardino, all’enorme ficus, al tempio circolare del parco e al castello. Alcune sale della dimora conservano eleganti affreschi, e c’è anche il Museo del Costume, una collezione di abiti e ornamenti siciliani prodotti dal Settecento in poi.

Iscriviti alla nostra newsletter! Per te ogni settimana consigli di viaggio, offerte speciali, storie dal mondo e il 30% di sconto sul tuo primo ordine.

L’indomani arriviamo a Modica. Associare la parola cioccolato al nome di questo paese è un processo quasi istintivo. Siamo al Museo del Cioccolato e abbiamo appena assistito al miracolo: una massa di cacao amorfa divenuta una barretta scandita in quadrati perfetti. Siamo insomma nel ventre primigenio della tentazione numero uno, fonte suprema di gioia e sensi di colpa da quando esiste – ma così pregiato. Il profumo della cioccolateria Dammuso mi racconta le tante spezie mescolate a mano nell’impasto e chiama a un assaggio istantaneo. Ma io non posso: ingerire del cacao renderebbe il mio corpo simile a quello del tipo che grida nell’Urlo di Munch. Dunque sconto l’intolleranza acuta assistendo al processo creativo come un vero Supplizio di Tantalo. Mi devo accontentare del profumo, della forma dei volti entusiasti dei miei colleghi, di condividere con loro quella gioia che gli distorce occhi e guance. È un cioccolato di Indicazione Geografica Protetta (IGP) ed è una delle eccellenze che più ci invidiano all’estero. E non posso nemmeno toccarlo. Nel museo, passiamo davanti a sculture di ogni tipo, tutte di cioccolato: c’è persino una grande mappa dell’Italia. Io resisto a una morte certa con una più salvifica passeggiata.

Modica va girata a piedi (o, volendo, anche in Ape-Calesse, chiedete all’info point accanto al Duomo di San Giorgio). Va affrontata nei suoi saliscendi, oltre i vicoli, perché regala molte sorprese. La Chiesa Rupestre di San Nicolò Inferiore, per esempio. Scoperta per caso solo nel 1987, è la testimonianza del culto rupestre in voga in epoca bizantina: la calotta sopravvissuta al boom edilizio è ancora affrescata e merita una sbirciatina. E che dire della Chiesa di Santa Maria del Gesù? Risale al quattordicesimo secolo e conserva bel chiostro medievale a due ordini, in stile tardogotico.

Tra Modica alta e Modica bassa, tra il Duomo di San Giorgio e quello di San Pietro si capisce immediatamente perché Unesco abbia deciso di premiare l’arte diffusa in questa zona, riconoscendola come patrimonio mondiale: il Barocco qui ha un tono di voce tutto suo, in perfetta armonia col suo territorio. Inoltre farne esperienza equivale quasi sempre a trovarsi su un punto panoramico, in posizione privilegiata. È una terra che ama farsi ammirare: i belvedere sono ovunque e non deludono mai.

Prima di arrivare a Ispica ci fermiamo alle omonime Cave, che fino a quel momento non avevo mai sentito nominare. Siamo in una vallata fluviale, formatasi dunque per l’azione erosiva dell’acqua nei millenni; un enorme canyon. Oggi le Cave d’Ispica sono un parco che si estende per oltre tredici chilometri nella macchia mediterranea, con gole profonde fino a cinquecento metri. Inutile citare la lunga storia di queste formazioni rocciose plasmate dallo scorrere di tempo e acqua, donne e uomini: sono puntellate di grotte abitate da millenni, che hanno dato vita a un Parco Archeologico che lambisce eremi monastici, catacombe cristiane, ginnasi romani e necropoli preistoriche. Tutto è visitabile con un bel percorso escursionistico, un tracciato tra carrubi e lecci, olivi e ciclamini (sul sito tutte le informazioni e gli orari di apertura).

Con questa piacevole sorpresa in tasca raggiungiamo il centro storico di Ispica. Attorno a Piazza Unità d’Italia i palazzi si sfidano in eleganza e ammiccano al liberty: Palazzo Antonio Bruno e il vicino Palazzo Bruno di Belmonte fanno a gara a chi riceve più scatti, ma forse nulla possono col Loggiato del Sinatra, che corona l’ingresso della Basilica di Santa Maria Maggiore ed ha una proporzione nelle forme che lo rende magnetico. Giri l’angolo e appare la Chiesa di San Bartolomeo, che ci ricorda a gran voce che siamo pur sempre in Terra Barocca con la sua simmetria centrale, che spara al cielo grappoli di forme plastiche.

Quando il navigatore ci indica in posizione Pisciotto di Ciarciolo, località Sampieri, provincia di Scicli, noi ci troviamo allo stesso tempo davanti al mare. La costa qui dà tregua al suo frastagliare con una spiaggia liscia e pacifica, che mi invita a un tuffo repentino e a quattro bracciate. Il cielo è terso, ad avere profondità di campo infinita si vedrebbero Gozo e Malta, proprio davanti a noi. Dietro, invece, c’è uno strano edificio in rovina, che impone una derapata improvvisa al nostro vagheggiare. È un dinosauro di pietra, lo scheletro di una specie architettonica estinta. Assomiglia a una basilica, con la torre separata e la classica facciata a capanna. In verità non è un luogo di culto, ma una fornace dove si produceva laterizio: precisamente la Fornace Penna, costruita nei primi del Novecento proprio davanti al mare e accanto a una preziosa cava d’argilla. La torre è una ciminiera alta 41 metri. Lo stabilimento funzionò solo una decina d’anni, poi un incendio lo abbandonò al suo destino. Oggi è un grandioso monumento di archeologia industriale, e sebbene un edificio di questa mole in riva al mare (la navata è lunga più di 80 metri) oggi potrebbe far gridare all’ecomostro, grazie all’assenza totale di cemento e all’uso esclusivo della pietra, oggi la Fornace Penna assomiglia più a un rudere antico, a un sito archeologico da riqualificare. Non è ancora possibile visitarla al suo interno, ma girarle attorno e guardarla da vicino è un’esperienza straniante e che innesca più di un pensiero.

Scicli è dove la realtà del viaggio combacia con l’immaginario del sogno fantasticato la sera prima di partire. E se avete poco tempo vi basterà girare attorno a via Mormino Penna per capire in un attimo di cosa stiamo parlando. Girare per il centro storico è un accumularsi di suggestioni: l’immancabile Barocco della Chiesa di San Giovanni Evangelista dalla facciata ondulata e gli stucchi policromi, le smorfie dei mascheroni di Palazzo Beneventano e Palazzo Fava. Il mondo scanzonato degli sfarzi del Palazzo Bonelli Patanè, o quello liberty intriso di alchimia nella Farmacia Cartia. Il panorama conturbante offerto dalla Chiesa di San Matteo. È proprio da lì che scopriamo il quartiere Chiafura: un grappolo di case-grotte aggrappate al fianco meridionale del colle. Un centro urbano costruito per sottrazione, ennesima riprova della lunga storia di adattamento che è questo territorio. Come a Ispica, le caverne furono abitate già dall’antichità, ospitando necropoli e abitati rupestri. Morti e vivi.

Tornati in paese, dopo una granita al limone che speravamo non finisse mai, la Galleria Quam sgomita per farsi notare su via Penna, annunciata com’è da un’ubicazione invidiabile – il refettorio secentesco del Monastero di Santa Chiara – e da un invitante spazio dominato da volte a botte. La galleria promuove la pittura contemporanea ed è un vero trampolino di lancio per molti artisti siciliani; la collezione permanente è allestita in un ambiente luminoso e accogliente che consigliamo anche ai meno appassionati d’arte.

Lasciamo il centro di Scicli e ci muoviamo verso la costa. In pochi chilometri si apre in un mondo diverso, che attiva tutti i sensi: il mercato del pesce di Donnalucata. Attorno a noi banchi di polistirolo e ghiaccio allineati con cura e pescatori che cantano prezzi e specialità; dietro, un coro di case basse sparse sul lungomare che ammicca al tramonto. Nell’aria lo stridio dei gabbiani. Cala il sole sulla spiaggia e siamo con gli smartphone in mano anziché in costume, dentro quel mare.

Delle due Ragusa, quella Superiore è la città più recente, costruita sull’altopiano con una forma ordinata, settecentesca. Ibla è invece più a valle ed è l’anima medievale di Ragusa, un gomitolo di vicoli stretti che si gettano su ampie piazze. Fu distrutta dal terremoto del 1693 ma mai abbandonata dalla sua popolazione, che l’ha poi ricostruita. Le due Ragusa sono da vedere assieme, una dopo l’altra, da entrambe le prospettive. Quale che sia il punto di vista – un drone volante sui tetti o camminando tra i vicoli – le tante cattedrali, le cupole e i loro sagrati panoramici inviteranno a contemplazioni lente, meditative, quasi pigre.

Riusciamo a schiodarci dalle viuzze solo mossi da un richiamo primordiale: c’è da provare la scaccia ragusana. È una specie di focaccia ottenuta stirando allo sfinimento una pasta, farcita in genere con pomodoro e formaggio – passata e cosacavaddu – ma ce n’è di ogni tipo. Il Forno Giummarra ci mostra come si prepara in tempo reale, e ce ne offre i risultati freschi di cottura. Siamo tutti d’accordo: la scaccia vale il viaggio. A stomaco pieno inforchiamo via Orfanotrofio ed entriamo ancora intontiti nel laboratorio Cinabro Carrettieri. Qui lavorano Damiano Rotella e Biagio Castilletti, tra i pochi artigiani dell’isola che ancora si dedicano alla pittura e al restauro artigianale dei carretti – sono stati persino ingaggiati da Dolce e Gabbana per decorare una linea di elettrodomestici. Visitare il loro laboratorio è entrare in una sorta di caverna delle meraviglie dell’arte più iconica di tutta la Sicilia. Terminiamo il nostro viaggio in un altro ambiente che ricorda una grotta, gestita col rigore del caveau di una banca. Siamo circondati da migliaia di pezzi color oro che penzolano dal soffitto e che tutti guardano con estremo rispetto; non sono lingotti ma formaggi: siamo nel magazzino di stagionatura del Ragusano Dop. Un tempo conosciuto come caciocavallo ragusano, è tra i formaggi più antichi (e buoni) della Sicilia, ancora prodotto esclusivamente con latte di vacca modicana. Ce ne mostrano uno fresco di stagionatura, forgiato in comodi parallelepipedi. Questo sì che posso assaggiarlo – e già che ci sono chiedo anche il bis.

© 2023 Lonely Planet. All rights reserved. No part of this site may be reproduced without our written permission. Per l’edizione italiana © 2023 EDT Srl - Via Pianezza, 17 - 10149 Torino - P. IVA 01574730014